L'Intervento
a 'I Nuovi Mille' su Rai2
La Storia dell'Acqua in Bottiglia
Già gli antichi (Strabone, Plinio il vecchio e Frontino) erano convinti che gli acquedotti di Roma fossero una delle più grandi meraviglie del mondo. Basti pensare alle altre, che convenzionalmente si citano. Molte di esse come le Piramidi d’Egitto, il Mausoleo di Alicarnasso o i Giardini Pensili, sono state edificate per celebrare una singola o poche persone, ma la meraviglia degli acquedotti è ancora più magnificente, perché è stata fatta a beneficio di tutto il popolo romano, oltre che della gloria di Roma. Si può dire che i romani, notoriamente gente terranea e contadina, riluttante a prendere la via dell’acqua salata, abbiano invece dominato e perfezionato l’arte di imbrigliare quella dolce, che dai colli e dai monti era portata in città grazie all’opera ammaestratrice dell’uomo.
Il romano ha messo a servizio della propria polis uno dei più grandi doni della Terra. Natura, arte (che in greco si dice non a caso techné) e città sono i tre punti basilari per capire cosa abbia portato gli antichi a costruire, lungo i secoli, quella complessa realizzazione che sono gli acquedotti. Le meraviglie di cui abbiamo parlato prima sono tali perché costituite da un’unica opera, mentre gli acquedotti sono diversi dato che uno solo di essi non riuscirebbe a suscitare la nostra ammirazione, che invece sorge naturale di fronte alla molteplicità degli acquedotti costruiti e alla complessità della rete idrica che costituiscono. Roma non è stata fatta in un giorno e così gli acquedotti; infatti, molto tempo è trascorso prima che l’Urbs potesse fregiarsi del titolo, quanto mai meritato, di Regina aquarum.
Il rapporto di Roma con l’acqua è sempre stato conflittuale. Romolo e Remo, il fondatore (Venerabilis inceptor) e il ribelle, hanno rischiato di annegare tra le acque agitate del fiume dopo essere stati messi nella mitica cesta dalla loro madre, Rea Silvia. Il sito del Forum Romanum era in origine un acquitrino e ancora ai giorni nostri è ricco di acque sotterranee, nonostante sia stato in seguito bonificato e reso edificabile. L’omphalos mundi1 è stato posto sopra un’antica palude per secoli. I primi romani avevano scelto di stabilirsi in altitudine proprio per sfuggire all’insalubrità delle zone pianeggianti situate presso il Tevere e l’unione degli abitati dei vari colli è avvenuta in un secondo tempo. L’acqua dà la vita e dà la morte. I numerosi straripamenti dei fiumi di Roma e la già ricordata presenza di acque ferme e stagnanti lo testimoniano. I romani, popolo intraprendente, hanno però piegato la primigenia brutalità della natura ai loro scopi, trasformando l’acqua in una fonte di vita generosa e irrinunciabile. È in questo modo che l’acquedotto romano è mirabile sintesi della ricchezza delle risorse naturali e dell’ingegno umano. Esso è il simbolo di una natura rispettata ma imbrigliata e di una città in espansione ma in armonia con l’ambiente circostante, insomma di un equilibrio ponderato, di una compenetrazione reciproca.
Nei primi tempi, come ci ricorda Sesto Giulio Frontino, figura che avremo modo di conoscere, gli abitanti di Roma si servivano esclusivamente delle acque del Tevere e dei pozzi con esso comunicanti; tuttavia, a partire dai primi secoli della Repubblica, tutto questo non fu più sufficiente. Roma stava diventando una potenza regionale rilevante e la popolazione cresceva a velocità sostenuta. Il primo acquedotto fu l’Aqua Appia, costruita nel 312 a.C. per volere del censore Appio Claudio il cieco, che aveva l’origine presso una fonte situata dieci miglia a sud di Roma.
La fonte primaria di approvvigionamento idrico per la gran parte del popolo venne così costituita, dopo la costruzione degli acquedotti, dalle fontane pubbliche. Vi erano poi innumerevoli ninfei, vasche e bacini d’acqua. L’acqua era distribuita gratuitamente e solo gli artigiani che ne facevano uso per la propria attività professionale dovevano pagarla, verosimilmente perché l’uso d’acqua da parte loro era maggiore di quello che faceva un cittadino medio. Gli aquarii (citati spesso da Giovenale nelle sue Satire, a testimonianza della loro diffusione e importanza) provvedevano, oltre che alla manutenzione degli acquedotti, anche al trasporto dell’acqua nelle insulae2. I notabili, invece, avevano la possibilità di allacciarsi direttamente all’acquedotto, disponendo, in questo modo, dell’acqua corrente in casa. Questo era considerato un vero privilegio, come spiega Frontino, tanto che l’imperatore premiava i cittadini che si erano distinti per meriti di varia natura, con la concessione di “beneficia principis” che davano la facoltà di eseguire un allaccio privato all’acquedotto. Questo diritto poteva anche essere acquistato, e a caro prezzo. Per fare chiarezza, bisogna tuttavia specificare che, all’inizio, la legge permetteva solo l’utilizzo delle quantità d’acqua eccedenti (aqua caduca), mentre solo più tardi fu prevista la possibilità, tramite il pagamento di un canone, di allacciarsi direttamente all’acquedotto pubblico, permettendo in tal maniera ai curatores aquarum (figura di cui si parlerà dopo) di avere sotto controllo la situazione ed evitare così il solito (ai tempi antichi, come in quelli odierni) sottobosco di privilegi immeritati e illegalità dilagante3. In ogni caso, anche i ricchi potevano utilizzare l’acqua solo al pian terreno4. Gli acquedotti rifornivano poi direttamente le terme, edificio più che mai importante per la via romana alla vita. Questa grande passione romana non sarebbe stata praticabile nella scala in cui lo è stata, senza gli acquedotti. Il fabbisogno d’acqua era enorme. Basti pensare alla necessità di allestire i grandi spettacoli con oggetto il combattimento di battaglie navali (naumachie), all’interno di un anfiteatro. Questa stupefacente rappresentazione poteva essere allestita e organizzata solo disponendo di opere come gli acquedotti. Vediamo quindi come, nonostante il rapporto anche conflittuale di Roma con l’acqua, molti aspetti della sua civiltà siano strettamente legati ad essa. Questo è dimostrato dal fatto che calcoli di epoca recente hanno dimostrato che la quantità d’acqua che affluiva in città in antichità era maggiore di quella di oggi. L’acquedotto, come affermato da C. Norberg-Schulz è stato “l’edificazione dell’acqua”.
1 Ombelico del mondo.
2 Abitazioni nelle quali viveva la plebe.
3 In ogni caso ogni allacciamento privato alla rete idrica veniva previamente valutato per evitare futuri malfunzionamenti dell’acquedotto provocati dall’eccessivo numero di concessioni accordate.
4 Nessuna costruzione ha ancora dimostrato di possedere le colonne montanti necessarie a portare l’acqua ai piani superiori.
Consorzio Acqua Potabile Mezzana Montaldo:
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