L'Intervento
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La Storia dell'Acqua in Bottiglia

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L'Intervento
di Giuseppe Altamore

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La Concezione Romana degli Acquedotti

La nostra concezione dell’acquedotto romano è oggi un po’ stereotipata e romanticizzata. Chi pensando a questi non corre col pensiero agli acquerelli e alle altre rappresentazioni che li raffigurano con quell’immancabile vena di malinconia? Persino Goethe, che pure definiva gli acquedotti come “una successione continua di archi di trionfo”, si è fatto ritrarre nella ruralità della campagna romana, insieme con uno di questi posti sullo sfondo, diroccato e dismesso. Tutto questo trasmette una sensazione di tristezza, perché ormai queste rovine sono viste solo come vestigia di un mondo passato e lontano. Invece gli acquedotti di Roma vanno concepiti per quello che erano al momento della loro costruzione e del loro funzionamento: opere di incommensurabile utilità, simbolo di forza, orgoglio e ingegno. Questo deve essere ciò che provavano gli antichi contemplandoli. E questi sentimenti dovremmo provare anche noi al loro cospetto.

Cole Thomas Aqueduct near Rome 1832.jpg

L’acquedotto è il suggello della passione, tipicamente romana, per la praticità e l’opera concretamente modificatrice del mondo.

Già altri popoli si erano cimentati in opere di questo genere e i romani non sono stati i primi. Il lavoro di asservimento delle acque era iniziato con la civiltà, e quindi in Mesopotamia (che in greco, letteralmente, significa appunto “tra due fiumi”), con i Sumeri. Tutto ciò era però solo avvenuto a fini agricoli. Più tardi, troviamo i primi acquedotti in Giudea, Galilea, Samaria e Assiria (un acquedotto in pietra calcarea, lungo 80 km portava l’acqua fino alla capitale Ninive). L’evoluzione delle civiltà è stata anche l’evoluzione della tecnica idraulica. Nel mondo mediterraneo, troviamo l’acquedotto di Tiro, costruito dai Fenici per portare l’acqua in città dalle montagne della zona. Strutture di questo tipo sono state rinvenute anche a Creta (Cnosso) e in Grecia (Argo, Tirinto e Micene). Per ciò che riguarda l’epoca classica bisogna fare cenno al celebre condotto sotterraneo per il trasporto dell’acqua dell’isola di Samo5, fatto costruire dal tiranno Policrate nel VI sec. a.C. e all’acquedotto di Atene, edificato sotto Pericle.
Ma allora perché la civiltà romana è la civiltà degli acquedotti per antonomasia e i romani sono quel popolo ad essere universalmente noto per gli acquedotti (oltre che per le strade)?
Come ho cercato di spiegare, questo è dovuto alla forma mentis romana e alle soluzioni tecniche adottate per costruire queste grandi realizzazioni architettoniche e ingegneristiche. 
Subito si pensa all’arco, invenzione etrusca, che i romani hanno applicato su larga scala a tutte le loro opere, che, senza di esso, non sarebbero potute essere edificate. È infatti curioso notare come non vi sia notizia, o ve ne siano di scarse, di acquedotti etruschi. Sono stati i romani a mettere a frutto tutte le conoscenze apprese dagli altri popoli e dalla loro esperienza in questa materia, per creare quel sistema idraulico che ancora oggi riscuote la nostra ammirazione.
Se oggi l’interesse per i tempi che ci hanno preceduto è forse non proporzionato all’importanza che essi hanno avuto, è anche perché l’uomo contemporaneo è condizionato da una certa superbia che lo porta a comparare i traguardi tecnico-scientifici dell’epoca attuale con il livello di evoluzione tecnologica dell’antichità. Evidentemente non c’è paragone. Tuttavia, per quanto riguarda gli acquedotti quest’affermazione, che generalmente è vera, risulta falsa. È forse uno dei pochi campi in cui la conoscenza tecnica antica regge il confronto con la nostra. Questo fatto non può che suscitare, ancora una volta, il nostro sincero stupore e la nostra più viva ammirazione per gli acquedotti di Roma.

È poi affascinante notare come nella nascita di un acquedotto si fondano aspetti puramente scientifici e aspetti leggendario - mitologici. La fonte da captare era scelta per la qualità delle acque sorgive. Inoltre, la sua posizione era fondamentale perché la pendenza era indispensabile per sfruttare pienamente la forza di gravità, l’unica che permetteva il funzionamento degli acquedotti romani. Si verificavano poi la purezza (cioè la quantità di sedimenti presenti), la temperatura (l’Aqua Tepula, che per l’appunto era detta tale, cioè tiepida, per il fatto di provenire da una sorgente termale), il sapore, le proprietà dell’acqua determinate dai sali in essa disciolti.
Le fonti dovevano poi essere prive di “inquinamento vegetale” (muschio, canne ecc.); i campioni erano esaminati in contenitori di bronzo per accertare la capacità di corrosione, l’effervescenza, la viscosità, il punto di ebollizione e ogni residuo presente in essa6. Se la fonte non era mai stata sfruttata prima si provvedeva anche a far abbeverare degli animali alle sue acque per vedere che effetti questa aveva. L’acqua che giungeva (e giunge) a Roma è generalmente di buona qualità. La prima volta che visitai l’aeterna Urbs rimasi piacevolmente sorpreso dalla straordinaria freschezza e limpidezza dell’acqua delle sue molte fontane, sensazione ancora più gradevole e inattesa quando si è immersi nell’arsura di un’estate mediterranea. 

5 Policrate commissionò un acquedotto di 2,5x2,5 m per portare l’acqua dal nord dell’acropoli a sud, vicino alla città. Eupalinos di Megara, l’architetto, portò a termine il lavoro usando squadre da entrambi gli imbocchi dei 1.046 m di lunghezza dell’acquedotto. Le squadre si incontrarono all’incirca a metà strada, con un minimo margine d’errore, portando a termine un’impresa storica. Ancora oggi, la galleria di Eupalinos, è considerata come un’impresa tecnica straordinaria
6 La fonte di queste informazioni è Gli acquedotti romani- la struttura ed il funzionamento, a cura del Prof. Arch. Bizzotto, con la collaborazione dell’Arch. Mancuso.


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